CAVALLERIA

Questo nome evoca subito immagini fantastiche di prodi guerrieri vestiti di ricche e scintillanti armature, con cimieri dai pennacchi svolazzanti al sole, in groppa ad intrepidi destrieri che li conducono, di villa in villa, alla ricerca di eroiche avventure, dove poter mostrare il loro coraggio, spesso speso in difesa dei più deboli, delle dame, degli orfani. Ed anche evoca la figura del cavaliere solitario che, accompagnandosi con un liuto, sotto gli spalti di un castello, canta una dolce serenata per una bella fanciulla affacciata ad un verone, alla quale promette di coprirsi di gloria e tornare presto per impalmarla. Ma non è tutta qui la Cavalleria. Queste sono le immagini che ci rimandano le antiche “chanson de geste”. Per brevi cenni storici, la Cavalleria deriva il suo nome da cavallo (latino mediev. caballus). Fin dai tempi più antichi, la Cavalleria era utilizzata, specialmente in guerra, come supporto delle armate di fanti. I popoli mediorientali, Assiri, Babilonesi, Ittiti, Persiani, già nel secondo millennio a.C., usavano i cavalli in battaglia. L’Egitto dei Faraoni amava i cavalli, importati dall’Oriente ed allevati con ogni cura, ma non li cavalcava. Erano adibiti al trasporto dei carri da guerra. Vediamo in tanti stupendi papiri ed affreschi immagini di cavalli con gualdrappe preziose e criniere infiocchettate che tirano ricchi carri dorati: l’auriga tiene le redini ed il guerriero lancia le sue frecce sul nemico. Oppure il Faraone o i Notabili su eleganti carri che vanno a caccia di leoni nel deserto. Per i trasporti di merci c’erano i più modesti, infaticabili asinelli. Bisogna arrivare ai Greci e, soprattutto, ai Romani per trovare la Cavalleria come arma da guerra con Cavalieri abilissimi che seguivano le potenti legioni ed incalzavano il nemico fino alla vittoria. E vittoria dopo vittoria (ed anche molte sconfitte) si formò un impero che durò 20 secoli ed alla cui caduta, oltre le lotte intestine e la corruzione, contribuirono i barbari, Unni, Eruli, Longobardi, Visigoti, che con le loro invincibili cavallerie premevano ai confini di quell’impero, ormai sull’orlo del collasso.La spallata decisiva la diede Odoacre, re degli Eruli, che nel 476 d.C. depose il piccolo Romolo Augustolo, ultimo imperatore d’Occidente. (“E dalle grige selve cui l’orsa algida preme, il calpestio dei barbari cavalli prepara il fato” – G. Leopardi – Bruto U.). Ed i barbari cavalli portarono i loro barbari cavalieri sul suolo di questo bel Paese tanto agognato. Si formarono i regni romano-barbarici in Italia, in altre parti d’Europa ed in Africa Settentrionale. Questi nuovi regni, però, assimilarono leggi, lingua, istituzioni dei paesi conquistati ed imposero ai sudditi la civiltà dell’antica Roma. Il sogno di ricostruire un impero ormai leggendario, che aveva dominato per tanti secoli quasi tutto il mondo conosciuto, aveva unificato i popoli più disparati con il diritto, la lingua (il latino) comuni ed una fitta rete di strade che percorrevano in lungo ed in largo tutto il territorio dell’Impero, rimase un sogno ed una leggenda, finchè un re barbaro, ma lungimirante ed audace, si prefisse di realizzarlo. Carlo, figlio di Pipino il Breve, re dei Franchi, condusse a termine molte guerre con i vicini e, valendosi dell’amicizia del Papa, di cui si era dichiarato protettore, travolse l’ultima resistenza dei Longobardi, che da due secoli comandavano in molta parte dell’Italia. A Pavia nel 774 d.C. Desiderio, ultimo re dei Longobardi, fu sconfitto e fatto prigioniero. Carlo fu incoronato imperatore a Roma dal Papa Leone III nella notte di Natale dell’anno 800 d.C. Precedentemente Carlo si era rivolto anche verso la Spagna, dove dominavano gli arabi mussulmani. Chiamato in aiuto dai governatori spagnoli di Saragozza e Barcellona, che volevano scrollarsi di dosso la sudditanza dell’emiro, non ebbe fortuna e l’impresa si risolse in una grave sconfitta a Saragozza (anno 778 d.C.), di cui l’episodio più famoso è la rotta di Roncisvalle, donde sarebbe nata la leggenda di Orlando ed i suoi paladini e da cui nacque tutta una letteratura cavalleresca con poemi e romanzi del ciclo Carolingio. Cosa c’entra tutto questo con la Cavalleria? C’entra, perché questo Impero molto vasto, con popoli così diversi per lingua, cultura, religione, bisognava amministrarlo; Carlo allora inventò il Feudalesimo! Divise fra i suoi più stretti e fedeli collaboratori, proprietari terrieri e guerrieri che lo avevano sostenuto in tante battaglie, le varie regioni dell’Impero e li “investì” dei titoli di Conti, Marchesi, Baroni, insomma divennero feudatari. Nel loro feudo governavano in nome del re, ma godevano di parecchie autonomie compresa quella di amministrare la giustizia, salvi i tributi, spesso molto pesanti, dovuti al loro signore. Il feudo, a lungo andare, divenne ereditario, ma per non disperdere il patrimonio, l’erede era solo il primogenito. Gli altri figli, i cadetti, dovevano accontentarsi di una rutilante armatura, un cavallo, qualche volta uno scudiero. Poi, fatto voto di fedeltà al sovrano con una fastosa cerimonia di vestizione, erano nominati Cavalieri. Questi cadetti cavalieri andavano in giro per le città ed i borghi, spesso compiendo atti di brutalità ed insofferenza di ogni legge. Poi, sotto l’influenza della Chiesa, acquistarono l’abito di quella “morale cavalleresca” che, ai tempi della prima crociata, riassumeva i doveri del cavaliere nella “defensio atque protectio ecclesiarum, viduarum, orphanorum, omniunqueDeo serventium”. La Chiesa volle fare del Cavaliere il combattente di Cristo. Con le Crociate, nel corso del Sec. XI, la progressiva cristianizzazione del vicino Oriente portò all’istituzione di ordini religiosi militari. Templari, Ospitalieri di San Giovanni, Cavalieri di Santiago o Calatrava, Cavalieri Teutonici si impegnarono e giurarono di praticare al servizio di Dio le virtù monastiche e le virtù guerriere. Dopo l’esito disastroso delle Crociate (caduti ormai definitivamente i luoghi santi in mano degli “infedeli”, Saladino riconquistò Gerusalemme nel 1193), gli ordini religiosi cavallereschi si ritirarono nei loro castelli o nelle loro fastose dimore cittadine, si diedero ad opere di umanità, ma anche agli affari ed alla marineria, qualche volta piratesca, diventando ricchissimi e potenti (specialmente i Templari), attirando le mire occhiute di sovrani, sempre indebitati, che per impadronirsi delle loro ricchezze non esitarono a perseguitarli. Esempio più grave quello dei Templari che accusati di eresia, di magia ed altre nefandezze, furono quasi tutti uccisi o costretti alla fuga. L’ultimo maestro, Jacques de Molay, fu arso vivo a Parigi nel Marzo del 1314, per volontà del re di Francia Filippo IV. Finite le imprese guerresche, la maggior parte degli ordini cavallereschi ritornarono al primitivo scopo, quello dell’assistenza ai bisognosi ed alla cura dei malati indigenti. Il mito della Cavalleria perdura attraverso i secoli, la società aristocratica cercava di adeguarsi ai comportamenti cavallereschi: la generosità, il disinteresse per le ricchezze, un certo modo di trattare le dame. Il periodo che subì maggiormente il fascino dell’esempio cavalleresco va collocato nei secoli XIV e XV. Ebbero, allora, la massima fioritura i romanzi, i poemi cavallereschi ed i tornei, questi ultimi, trasformati in sfide a singolar tenzone, furono vere e proprie esibizioni di prodezza, ma anche oggetto di gustose e brillanti parodie da parte di illustri letterati e poeti. Il più alto esempio è l’immortale Cervante con il suo Don Chisciotte, cavaliere “senza macchia e senza paura”, che combatte contro i mulini a vento, seguito dal suo fedele Sancio Panza, che rappresenta l’uomo di buon senso che ha i piedi piantati bene in terra e non la testa fra le nuvole. Ariosto, con il suo grande poema “L’Orlando Furioso”, ci ha fatto, ed ancora ci fa, sorridere e meditare sulle mitiche gesta dei prodi cavalieri e paladini: “Eran nimici, eran di fe’ diversi ancor sentian degli aspri colpi iniqui per tutta la persona ancor dolersi eppur per selve oscure e calli oblique insieme van senza sospetto aversi” E’ il famoso duello fra Ruggiero e Ferraù che si contendevano l’amore della bella Angelica. Fuggita la ragazza su uno dei cavalli dei duellanti, questi salgono in groppa all’unico cavallo rimasto e corrono insieme alla ricerca della fuggitiva. “O gran bontà dei cavalieri antichi”. La Cavalleria, per secoli, è stata una realtà, poi divenuta un simbolo di comportamenti, passa alla leggenda e diventa un mito. Lo sviluppo dell’economia monetaria e la fine delle istituzioni feudali, il sorgere di stati nazionali, provocarono il declino dell’aristocrazia: gli Stati allora utilizzarono a proprio vantaggio l’etica dei Cavalieri, creando ordini cavallereschi.


Edoardo III d’Inghilterra, nel 1314, istituì l’Ordine della Giarrettiera (Honny soit qui mal y pense), subito seguito da altri sovrani. In Italia ebbero grande prestigio gli ordini sabaudi della “Santissima Annunziata” (1364) e dei “Santi Maurizio e Lazzaro” (1572). Dal Sec. XVII gli ordini si avviarono a diventare semplici istituzioni onorifiche, ambite da nobili, cortigiani, funzionari. La Repubblica Italiana ordina cavalieri cittadini benemeriti: artisti, letterati, imprenditori, professionisti, che con le loro opere hanno contribuito al progresso ed al benessere del loro Paese.
Gli eredi e continuatori di molti ideali cavallereschi sono oggi i rappresentanti di molte associazioni umanitarie, i cui membri, nobili per titoli ma soprattutto per le virtù del cuore, si prodigano per soccorrere i poveri ed i derelitti di tutto il mondo, adottare bambini abbandonati a distanza ed insomma, come nei tempi antichi “ad dephensionem atque protectionem omnium neglectorum”.
Giuseppina PAVONE